Descrizione
Carta d’identità
Il Bitto è un formaggio grasso a pasta cotta, prodotto con latte vaccino a cui può essere aggiunto un 10% massimo di latte caprino.
Il Bitto è un formaggio d’alpe che ha ottenuto nel 1995 la DOC (Denominazione di Origine Controllata) e nel 1996 la DOP (Denominazione di Origine Protetta).
Caratteristiche
- Al taglio la pasta è tenera, compatta, di colore che va dal bianco al giallo paglierino e con una leggera occhiatura ad occhio di pernice. Invecchiando tende ad ingiallire, diventa soda e friabile, pur conservando una certa cremosità.
- Il sapore è complesso, ricco, dolce e molto armonico, con un retrogusto aromatico nel Bitto meno stagionato, più piccante e intenso in quello invecchiato.
- La crosta è sottile, di colore giallo nelle forme più giovani; più scura e consistente nelle forme più stagionate.
- Forma tonda, regolare, con scalzo concavo a spigoli vivi; diametro di 30-50 cm e altezza di 8-12 cm. Il peso varia da 8 a 25 kg.
occhiatura di dimensioni variabili
La zona di produzione
La zona di provenienza del latte destinato alla produzione del Bitto comprende l’intero territorio della provincia di Sondrio e i territori limitrofi dei Comuni di Averera, Carona, Cusio, Foppolo, Mezzoldo. Piazzatorre, Santa Brigida e Valleve, tutti situati nell’alta Valle Brembana, in provincia di Bergamo. Si tratta di circa 200 alpeggi posti a 1800/2000 metri di altitudine.
La lavorazione
La materia prima è il latte intero delle vacche di razza bruno-alpina o rossa a cui può essere aggiunto un 10% massimo di latte caprino.
Il Bitto viene prodotto solo in estate, dall’inizio di giugno a fine settembre, quando le mandrie di mucche e capre vengono portate sugli alpeggi di alta montagna. Il latte, ancora caldo di mungitura, viene spesso lavorato direttamente nelle malghe o nei “calécc”, caratteristici edifici con pareti in pietra in cui il tetto è realizzato solo in caso di bisogno, utilizzando un apposito telo di copertura. Il latte viene posto nelle caldaie in rame, scaldato a 35-40°C e fatto coagulare in poco più di mezz’ora con caglio di vitello.
La rottura si spinge fino a sminuzzare la cagliata in grani della grandezza variabile tra il chicco di riso e quello di mais. Si passa infine alla cottura, che avviene ad una temperatura di 48-52°C. In questa fase i grumi di cagliata eliminano il siero, si rassodano e tendono a raccogliersi sul fondo della caldaia da cui vengono estratti per essere modellati nelle fasciare. Per aumentare la consistenza della pasta e favorire un’ulteriore espulsione di siero, le forme vengono poi sottoposte a una pressatura per cira 8-10 ore, con i necessari rivoltamenti delle forme.
Dopo una pausa di 2-3 giorni, le forme vengono salate a secco per circa 3 settimane con il sale da cucina, ad intervalli di 2-3 giorni. Il Bitto matura in 70 giorni, a temperatura di cantina nelle casere, ma regge anche una stagionatura più prolungata che può andare dai 3 mesi fino a superare i 10 anni. Mediamente il Bitto da tavola viene lasciato stagionare per 3-8 mesi. Dopo un anno affiora la sua vena piccante. Il Bitto da grattugia stagiona per oltre due anni.
Come si conserva
Il Bitto giovane dev’essere avvolto in carta pergamena o in pellicola, quello invecchiato può essere protetto da un telo, da cambiare spesso affinché non si alteri l’aroma del formaggio.
Dove si acquista
Il Bitto viene prodotto in quantità abbastanza limitata e consumato quasi completamente nella zona d’origine. Le condizioni in cui viene prodotto e le eccezionali caratteristiche organolettiche giustificano il suo prezzo elevato.
Il Bitto si riconosce dal marchio d origine che il Consorzio di tutela provvede ad imprimere a fuoco sullo scalzo delle forme che riporta anche il numero di identificazione del produttore. Altro elemento di identificazione è la “pelure” (pellicola o etichetta) con l’illustrazione di un paesaggio d’alpeggio.
L’aneddoto
Ogni anno, alla tradizionale fiera di Morbegno che si svolge la seconda settimana di ottobre, vengono esposti i formaggi prodotti durante l’estate e sono premiate le forme migliori.
L’edizione 1999 della manifestazione, la 92esima, ha registrato la presenza di 20.000 visitatori.
La storia
L’etimologia della parola bitto è incerta. Alcuni studiosi la fanno risalire al vocabolo germanico “bett”, che indica il letto del fiume (in questo caso il torrente Bitto), mentre gli altri la rimandano alla parola “bitu”, che per i Celti significava “perenne”, in riferimento alla lunga capacità di conservazione di questo formaggio.
Furono proprio i Celti che si rifugiarono in Valtellina, a insegnare l’arte casearia alle popolazioni locali. I primi documenti scritti che attestano la produzione del Bitto risalgono agli inizi del XVII secolo.